Tournedos Rossini, la leggenda e il mistero

Gioacchino Rossini, una rock star ante litteram come poteva esserlo un compositore all’apice del proprio successo all’inizio del secolo XIX, all’improvviso scompare dopo decenni di vorticosa attività.

Non è tra queste righe che è opportuno discutere del suo spessore artistico e musicale, non avendone nè conoscenza nè competenza: ma dalle cronache si apprende di questo giovane musicista che irrompe sulla scena europea con un’opera che i critici chiamano rivoluzionaria. Anche se il suo apparire campione della cosiddetta “opera buffa” lo fa guardare di soppiatto da tutto un cotè di commentatori, in particolar modo quelli che mitizzeranno da lì a poco l’avvento dei “romantici” ottocenteschi.

Una personalità a tratti oscura, sopra tutto per quanto riguarda una supposta bipolarità della sua mente geniale: a questo spesso si ascrive il sun “buen retiro” a poco più di trent’anni, quando scomparve dalla scena. Massimo contrappasso poi il non potersi dedicare pienamente all’altra sua passione, quella della carne - in entrambi i sensi - a causa di problemi di salute di cui si vergognava assai.

Non indagheremo oltre la gigantesca figura di Rossini, ma ci piace affrontare il tema della sua leggenda di gourmet, in carteggio vasto e continuativo con il grande cuoco Careme e attento lettore del Brillat-Savarin. Nel suo periodo di più luminosa popolarità la sua fama lo precedeva, e pare che - come un moderno food-blogger - avesse libertà di movimento nelle più importanti cucine, e che discutesse tanto animatamente con gli chef quanto con i colleghi musicisti.

Da lì nacque infatti il mito del “Tournedos alla Rossini”: si narra che all’acme di una accesa diatriba con uno chef che non voleva saperne di inserire il tartufo - di cui era estremamente ghiotto - nel filetto, lo mandasse clamorosamente a quel paese intimandogli di girarsi e andarsene: “Tournez le dos!”

Non ostante le pretese origini rossiniane, il Tournedos è un piatto classico della cucina classica della scuola classica… Francese. Abbiamo detto classico? Sì, perchè da anni innumeri il Filetto Rossini è propriamente incluso nella letteratura e nelle carte di ristoranti di altissimo livello: sia quelli legati alla cucina classica (repetita juvant) che in qualche citazione, deviazione o rivistazione sulle tavole di ricerca. È infatti un piatto costoso, per la qualità e la quantità degli ingredienti usati: una bella porzione di Chateaubriand di bovino, una potente scaloppa di foie gras fresco, una pioggia di tartufo nero pregiato, vino di Madera.

Non presenta difficoltà tecniche che un cuoco di prima fila non possa gestire a occhi chiusi, ma la sua stessa opulenza, la sua ricchezza e in un certo senso la sua “semplicità” lo rendono un banco di prova della “mano” dell’esecutore. La cottura perfetta del filetto, il foie gras appena fiammeggiato, il pane fritto nel burro, i fondi al Madera se non gestiti con consapevolezza millimetrica trasformerebbero un piatto opulento ma anche raffinato in una montagna di grassi: per questo solo le tavole più prestigiose attrezzate con brigate all’altezza si permettono di frequentarlo. 

Popolare, sì, ma di fama. Più che di fame.

Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo”.
[Gioacchino Rossini]