La Leggenda del Gallo Nero

Giugno 1988. Il maggiolone verde percorre con studiata lentezza la chiantigiana, la mitologica 222. Davanti, i miei genitori. Io, dietro, nel mezzo, in protesa fiduciosa postura.

È domenica e consuetudine vuole che si faccia una giratina fuori porta, che quasi sempre significa le sinuose colline del Gallo Nero, che sono attraversate da una colonna vertebrale, una strada che taglia quasi tutta la Toscana, passando per meravigliosi borghi quali Panzano, Greve, Castellina.

Da quella macchina ogni tanto mi voltavo verso i finestrini, per respirare a pieni polmoni e lenire il mal di macchina, e ricordo ancora la mia perplessità nel vedere i tanti pittori che ai tempi si trovavano a lato della strada per dipingere le colline e certe enormi insegne che raffiguravano un Gallo Nero.

La giratina si concludeva immancabilmente a schiacciata e vino. E nelle bottiglie, dalle quali fuorisciva un liquido rosso cristallino, che oggi quasi definirei claret, ritrovavo ancora una volta quel Gallo Nero.

E, con un altro magico volo fra i pensieri (il vino in questo è un maestro), mi ritrovo a Sant’Andrea in Percussina, vicino a San Casciano Val di Pesa, pietrosa e suggestiva magione che il Machiavelli, che vi era stato esiliato,  definiva l’Albergaccio, dove giovane venticinquenne ho lavorato per 3 anni in quella che era ai tempi la sede del Consorzio Gallo Nero. E in quegli anni, una delle mie attività, che ho sempre svolto con grande piacere (oddio, alla fine mi era un po’ venuta a noia…), era raccontare a tutti la chiave di volta fra un territorio, il Chianti Classico, il suo vino e un pennuto che scopriremo anche di indole nervosetta: la famosa leggenda del Gallo Nero. 

Ed eccoci ora nel Medioevo, e il territorio geografico del Chianti, che si estende dal sud di Firenze al nord di Siena, ai tempi era conteso appunto fra le due città nemiche: i ghibellini senesi e i guelfi fiorentini. Due città tanto opulente e fiere quanto belligeranti e acrimoniose (Firenze, malgrado una sostanziale costante egemonia, occuperà definitivamente Siena solo nel 1555). La battaglia di Monteaperti (“lo strazio e ‘l grande scempio / che fece l’Arbia colorato in rosso”, ricorda Dante), quando i ghibellini senesi avevano sconfitto i guelfi fiorentini, era lontana oltre un secolo. Firenze aveva di nuovo riconquistato il dominio sulla zona. Ma le ragioni ottenute con la forza avevano reso il Chianti - una regione ai tempi aspra e coperta di boschi, castelli e casseri - una polveriera instabile e insicura, teatro di scontri e terra di mezzo, dove spesso si combatteva per una pezza di suolo, e i confini fluttuavano come le onde del mare. Non a caso il termine Chianti parrebbe derivare dal latino clangor, lo sferraglio delle armi. Stanchi di contendersi il dominio in infinite battaglie, si decise quindi di risolvere le questione del dominio del territorio in “singolar tenzone”, una gara, come era d’uopo ai tempi!

Le regole: al canto del gallo (non vi erano ancora gli orologi!), due cavalieri, il migliore di ogni città, sarebbero partiti dai rispetti centri andando l’uno incontro l’altro: il punto esatto in cui i cavalieri si fossero incontrati, avrebbe costituito la linea di spartizione del territorio del Chianti.

A Siena si sentivano sicuri. Chi non conosce il Palio di Siena e la valenza dei loro cavalieri e dei cavalli? A Firenze un po’ meno, avendo negli anni i fiorentini sviluppato tante arti ma mai quella equestre. Si sa: la necessità aguzza l’ingegno e i fiorentini, la notte prima della disfida, chiusero un gallo nero in una stia, lasciandolo al digiuno.

Viceversa, a Siena, pregustando già la vittoria, tutte le contrade si concessero a grandi pre-festeggiamenti e grandi baldorie, con un gallo bianco ben pasciuto e canterino assoluto protagonista delle libagioni.

Accadde che il giorno della gara, ai primi baluginii di luce, nervoso e stremato dal digiuno e dalla prigionia, il Gallo Nero dei fiorentini cantò molto prima del gallo bianco senese, che aveva festeggiato tutta la notte. Questo permise al cavaliere fiorentino di fare molta più strada rispetto al senese: i due si incontrarono a Fonterutoli, vicino Siena, e quasi tutto il Chianti passò, come è ora, sotto la giurisdizione fiorentina.

Al di là della leggenda, la storia ci consegna altri episodi col Gallo Nero. Già dal Duecento Firenze era solita amministrare il contado dividendolo in leghe. Nel 1384, appunto, venne editato il primo statuto della Lega del Chianti. Questa istituzione, che racchiudeva mansioni sia di carattere diplomatico che militare, scelse come simbolo un Gallo Nero su sfondo dorato.

E se vi capitasse di visitare Palazzo Vecchio a Firenze, nel Salone dei Cinquecento, alzando gli occhi al meraviglioso soffitto in legno, noterete una opera del 1547 di Giorgio Vasari, 'Ager Clantius et eius oppida’, il territorio del Chianti e le sue città. In cui un signore ieratico e statuario si appoggia su uno scudo con Gallo Nero su sfondo dorato, a rappresentazione allegorica del Chianti.

Ai tempi non si parlava ancora di Classico, di vino, di Sangiovese, ma di lì a qualche anno la progressiva pacificazione della zona portò anche a una conversione delle tante strutture architettoniche di difesa in fattorie agricole per la coltivazione della vite. Il sistema mezzadrile prese piede e il Chianti divenne, anno dopo anno, la terra del vino più famoso al mondo. Nel famoso bando del granduca Cosimo III dei Medici del 1716, finalmente il Chianti viene citato ufficialmente come terra da gran vino.

Tanta fama che il vino del Chianti, che ripeto ad taedium essere territorio geografico che si estende dal sud di Firenze al nord di Siena, cominciò a essere imitato, copiato anche in altre zone della Toscana: non di rado nelle etichette si leggeva: “Vino fatto a mo’ di Chianti”. Incredibile vero? La frittata si compì nel 1932, quando un Italia fascista, volenterosa di assicurare buon business per tutti per far crescere le ambizione economiche del Regno, si autorizzò la produzione di vino Chianti anche se prodotto fuori dal Chianti, obbligando i padri del vero Chianti, fatto in Chianti, ad aggiungere ai loro vini il termine Classico.

Una soluzione all’italiana che deluse fortemente tutti, anche e soprattutto coloro che avevano sollecitato il governo italiano a impedire il plagio, ovvero il Consorzio del Marchio Storico che era nato a Radda nel 1924 proprio con l’idea di salvaguardare il suo prodotto di eccellenza, il vino, scegliendo come simbolo del territorio, e progressivamente del vino, un Gallo Nero.

Siamo arrivati al 1996, età contemporanea come direbbero gli storici, qualche anno dopo le mie giratine col maggiolone dei miei genitori nelle terre del Gallo Nero. Tutti i Chianti, dal Classico alle sottozone, fin dal 1967 e poi dal 1984 erano subito assurti a DOC e DOCG, ma ancora non vi era troppa distinzione fra i prodotti. Ecco, nel 1996 si segna una grande vittoria, 72 anni dopo la nascita del Consorzio, e 64 anni dopo la frittata del 1932, il Chianti Classico viene ufficialmente separato dal vino Chianti. Disciplinari diversi, zone diverse e identità diverse, pur avendo entrambi la stessa parola Chianti.

Solo negli ultimi dieci anni si è resa obbligatoria la presenza del Gallo Nero in etichetta (prima era facoltativa). Oggi, qualsiasi bottiglia di Chianti Classico starete bevendo, troverete effigiato il Gallo Nero.

Un animale, un simbolo di un territorio, di un vino e di un fazzoletto di Toscana in cui l’uomo per secoli si è fatto la guerra ma ha saputo produrre, nella faticosa sintesi di tante avversità e diversità, la bellezza e la bontà più assoluta.

Aprile 2021. Prendo la macchina e mi avvio da solo lungo la 222. I miei sensi si riempiono dei casseri, dei castelli, delle fattorie contadine, dei lasciti etruschi e rinascimentali, delle ville signorili che incontro lungo la strada, dei “clangori” dell’upupa, degli storni, dei fringuelli e del primo cicaleccio tardo-primaverile, dei profumi dei cipressi in linee ordinate, del biancospino, della rosa canina, dei lecci e degli olivi coi tronchi nodosi.

Mi fermo in una bottega e gusto un calice di Castell’In Villa del 1988. Il vino della principessa, forse il mio preferito fra i Chianti Classico. Di quell’anno e di quel me bambino a zonzo coi miei. Un po’ di malinconia mi afferra: il sapore della vita, la profumata e croccante malinconia. E spesso anche del vino, di certi vini, di tanti Chianti Classico Gallo Nero.