Cinquecento anni per la cantina del San Domenico
Tra le storie più interessanti della grande ristorazione italiani di certo ha un porto di particolare riguardo quella del San Domico di Imola. Un vero e proprio monumento all’arte dell’accoglienza - come dell’arte tout court - che conta ormai ben oltr eil mezzo secolo di vita, e che vita.
È sul finire degli anni Sessanta che la seconda passione di Gianluigi Morini, la gastronomia, si consolida al punto di sospingerlo a costuire, nei locali dove aveva pure praticato l’apprendistato da garzone di macellaio in gioventù, il futuro San Domenico.
Perchè la sua prima, di passioni, era il Cinema, che lo aveva condotto a Roma a lavorare e conoscere cose e persone, tanto da proseguire poi con i suoi celebri “inviti” a cena, dove poteva far sfoggio delle sue abilità di cuoco. Perchè era diplomato ragionere, e la famiglia lo aveva voluto in banca a consumare le giornate in onta alla sua natura.
La svolta fu il sodalizio, umano e professionale, con il mitico cuoco “dei re” Nino Bergese, forse la prima cook-star della nostra epoca, che accettò di rimettersi in giuoco nella terza parte della sua vita, e levigare la strada verso il paradiso a Valerio Marcattilii, artefice poi del successo di pubblico e di critica, come si suol dire.
Attraverso i decenni e le generazioni - oggi al timone della cucina c’è Max Mascia, ancor giovine e nel pieno della sua maturità professionale - il San Domenico ha mantenuto inoffuscato lo splendore della sua luminosa storia, tutt’altro che adagiato sulle glorie di quel Raviolo che ne è un vero e proprio inno.
Ma il San Domenico conserva anche un altro fulgido tesoro, che è la sua cantina. Francesco Cioria ti potrà condurre nelle segrete stanze del San Domenico, nei tortuosi passaggi dell’antico convento domenicano che attraverso mezzo millennio hanno condotto a noi un luogo perfetto per la conservazione e l’affinamento del vino.
Conservato da Cioria con l’attenzione e il puntiglio di un museo, o di una banca, il caveau del San Domenico raccoglie oltre duemila referenze dall’Italia e dal mondo, sviluppate in oltre quattordicimila bottiglie. Oltre alla sconfinata batteria dei distillati di pregio. Campioni di longevità che risalgono al 1945, e principi di valore, con “pezzi” che ammontano a migliaia di euri cadauno.
Cioria ammette di avere un’ossessione: riconosce ad occhio uno scaffale con un pezzo mancante, e vede da lontano una bottiglia fuori posto, ognuna puntigliosamente catalogata con il suo collarino. Se gli chiedi quanto tempo dedica alla “sua” cantina ti risponde “Tante ore, tutti i giorni, tante.”
È sul finire degli anni Sessanta che la seconda passione di Gianluigi Morini, la gastronomia, si consolida al punto di sospingerlo a costuire, nei locali dove aveva pure praticato l’apprendistato da garzone di macellaio in gioventù, il futuro San Domenico.
Perchè la sua prima, di passioni, era il Cinema, che lo aveva condotto a Roma a lavorare e conoscere cose e persone, tanto da proseguire poi con i suoi celebri “inviti” a cena, dove poteva far sfoggio delle sue abilità di cuoco. Perchè era diplomato ragionere, e la famiglia lo aveva voluto in banca a consumare le giornate in onta alla sua natura.
La svolta fu il sodalizio, umano e professionale, con il mitico cuoco “dei re” Nino Bergese, forse la prima cook-star della nostra epoca, che accettò di rimettersi in giuoco nella terza parte della sua vita, e levigare la strada verso il paradiso a Valerio Marcattilii, artefice poi del successo di pubblico e di critica, come si suol dire.
Attraverso i decenni e le generazioni - oggi al timone della cucina c’è Max Mascia, ancor giovine e nel pieno della sua maturità professionale - il San Domenico ha mantenuto inoffuscato lo splendore della sua luminosa storia, tutt’altro che adagiato sulle glorie di quel Raviolo che ne è un vero e proprio inno.
Ma il San Domenico conserva anche un altro fulgido tesoro, che è la sua cantina. Francesco Cioria ti potrà condurre nelle segrete stanze del San Domenico, nei tortuosi passaggi dell’antico convento domenicano che attraverso mezzo millennio hanno condotto a noi un luogo perfetto per la conservazione e l’affinamento del vino.
Conservato da Cioria con l’attenzione e il puntiglio di un museo, o di una banca, il caveau del San Domenico raccoglie oltre duemila referenze dall’Italia e dal mondo, sviluppate in oltre quattordicimila bottiglie. Oltre alla sconfinata batteria dei distillati di pregio. Campioni di longevità che risalgono al 1945, e principi di valore, con “pezzi” che ammontano a migliaia di euri cadauno.
Cioria ammette di avere un’ossessione: riconosce ad occhio uno scaffale con un pezzo mancante, e vede da lontano una bottiglia fuori posto, ognuna puntigliosamente catalogata con il suo collarino. Se gli chiedi quanto tempo dedica alla “sua” cantina ti risponde “Tante ore, tutti i giorni, tante.”